Di Gustavo Cacini rimane poco, almeno nella memoria dei romani.
Rarissime e sconosciute immagini, nessun titolo di rivista, nessuna battuta. Persino sul fisico del personaggio rimane qualche dubbio: Sordi lo descrive nero e lungo (come appare nei manifesti), Claudio Buccilli (il fornaio di Sacchetti/Primavalle) magro e basso.
Recitò in un mondo artistico, quello del vaudeville dell’epoca fascista, spontaneo, ricco d’improvvisazioni, popolare, a tratti scurrile, eppure straordinariamente vivo (Totò, Nino Taranto, Anna Magnani, Tino Scotti, Carlo Dapporto e decine attori di vaglia vengono di qui).
Di Cacini, in modo certo, sopravvive solo il detto originato dalla strafottenza esibita sul palco (“Ma chi sei, Cacini?“), da gradasso vanaglorioso (si atteggiava a erede di Carnera) e attaccabrighe.
L’Enciclopedia di Roma di Claudio Rendina resoconta con stringatezza:
“Cacini Gustavo detto Cacini. Attore di rivista (Roma 1890 – Nettuno 1969). La sua ribalta fu ai teatri Jovinelli, principe e Volturno; il repertorio era quello del bullo, che arrivava a liveli truci e laidi, dal linguaggio sguaiato agli atteggiamenti boriosi e prepotenti fino a impersonare il magnaccia, ovvero il protettore dlle prostitute. E divenne proverbiale, tanto che nacque il detto: “E chi te credi da èsse, Cacini?”, teso a ironizzare proprio le arie da bravaccio di una persona“.
Ed ecco i ricordi di Claudio Buccilli:
“Cacini era un comico che faceva da spalla a comici più affermati di avanspettacolo; era un fregnettino magro, basso; se in scena c’era qualcuno che faceva il prepotente lui interveniva dicendo ‘Attento che te dò ‘no schiaffo’, e si atteggiava imitando a volte pose da Primo Carnera, il gigante buono noto per antonomasia come uomo di notevole statura ed eccezionale forza fisica.
Durante gli anni di guerra credo che Cacini non se la passasse troppo bene; la sera, tornando dalla città, sceso dal tram passava come tanti altri qui al forno di mio padre per prendere qualcosa da mangiare. Continuava poi per via San Melchiade Papa (la chiamavano ‘la scorciatoia’, e all’epoca era un viottolo sterrato che con la pioggia diventava un torrentello) per raggiungere il Dormitorio di Primavalle, in via Federico Borromeo 67. Dove ora c’è via Mattia Battistini c’era la marana da scavalcare passando su dei sassi o con un salto.
A volte insieme a lui c’era una bella signora, di una bellezza ormai un po’ sciupata, che era una ex soubrette di avanspettacolo. La chiamavano Zazà, e lei faceva sempre la manfrina a mio fratello per farsi regalare uno sfilatino“.
Su Gustavo Cacini il primavallino fiorirono una serie di leggende impossibili da confermare (o da smentire).
La più gustosa è quella della gattata: pare sia stato lui a ricevere un gatto morto sul palco (in segno di dissenso estetico) e, pare, sia stato questo episodio di ruvido avanspettacolo a ispirare Federico Fellini nel memorabile segmento del film Roma (con Alvaro Vitali nella parte di Cacini). Una scena oggi urtante per qualcuno, ma in grado di rendere con forza l’atmosfera da bolgia dei teatri di rivista romani.
Cacini recitò in una manciata di film. Tutte particine. Nel dopoguerra la sua verve da suburra decadde rapidamente.
Solo nel film L’ultima carrozzella (Mario Mattoli, 1943), con Aldo Fabrizi e la Magnani, in un minuscolo frammento, possiamo gustare il vecchio Cacini nella sua caratterizzazione più celebre, quella dell’insolente attaccabrighe.
Ed ecco il gatto di Fellini:
(g.c.)
L’ha ripubblicato su ilcantooscuro.
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