Zoltan Jékely (1913-1982) fu un poeta e romanziere ungherese, traduttore, dall’italiano all’ungherese, dei nostri maggiori capolavori letterari, da Torquato Tasso a Giovanni Boccaccio. Fu anche vivace lettore anche dei contemporanei: D’Annunzio, Corazzini, Panzini.
Jékely visitò Roma fra il 1939 e il 1940, ospite dell’Accademia d’Ungheria in via Giulia.
Vi si trattenne sino al 12 aprile 1940. Oltre a visitare Tivoli e Rocca di Papa, egli vagabondò in città alla ricerca di note curiose.
Afferma Sarolt Péterfy, suo biografo dei giorni romani:
“Dopo i viaggi in Italia nelle estati del 1937 e del 1939, Zoltán Jékely ripartì per Roma all’inizio del dicembre del 1939, ospite dell’Accademia d’Ungheria … durante i viaggi mostrò grande sensibilità nei confronti di ogni evento strano, che avesse una pur minima luce di mistero. Anzi, possiamo dire che anche alcuni eventi di banale quotidianità divenivano ai suoi occhi misteriosi e ricoprivano un’importanza particolare. Nei diari di viaggio di Jékely dunque non troviamo quasi alcuna annotazione sugli eventi ‘normali’ che scandiscono la vita quotidiana del viaggiatore, ma soltanto riguardo ad avvenimenti che per qualche particolare motivo l’avevano toccato particolarmente, accanto alla citazione di sogni, impressioni, esperienze personali …“.
Una sua breve prosa si intitola Mucche al Gianicolo.
Una poesia, invece, Primavalle.
La compose, probabilmente, nei mesi invernali del 1940.
L’ha tradotta per noi la dottoressa Francesca Ciccariello (che ringraziamo vivamente), studiosa proprio presso l’Accademia d’Ungheria.
Elle ci chiarisce innanzitutto il senso generale della lirica:
“Per quanto riguarda la poesia dal titolo ‘Primavalle’, il pastore che Jékely vede gli appare come una figura antica – in quello che negli anni ’40 è in parte ancora un paesaggio non urbanizzato, con prati e aree verdi ‘selvagge’ – e che continua a vivere come ‘prima di/dinanzi a’ millenni di rovine e ‘prima di/dinanzi ad’ anni di massacri. Jékely descrive il pastore come se nulla sfiorasse la vita di quest’ultimo, che continua secondo una modalità fuori dal tempo”.
Ed ecco la poesia:
Primavalle
Eterna e senza tempo è questa valle
vagabonda in essa l’antico pastore
come prima di millenni di rovine
e da allora chissà per quante volte.
Ed eterno e senza tempo è questo pastore,
non ha mai tenuto conto degli anni,
come nella vita sua chissà quante volte
vive le gioie della primavera:
perché anonima e senza tempo è questa valle
non ha affatto tenuto conto degli anni
come prima di anni di massacri
vive le gioie della primavera,
ed è lì a vagabondare l’antico pastore
come nella vita sua forse già mille volte
e chissà d’ora in poi per quante volte.
Roma, 1940
Traduzione di Francesca Ciccariello
Ed ecco l’originale:
Időtelen és örök ez a völgy,
úgy őgyeleg benne a régi pásztor,
mint romhagyó évezredek előtt
s azóta is, vajon ki tudja hányszor.
S időtelen és örök ez a pásztor,
sosem tartotta számon éveit,
mint életében már ki tudja hányszor,
úgy éli a tavasz örömeit:
mert jeltelen s időtelen e völgy,
ki sem tartotta számon éveit,
mint emberírtó esztendők előtt,
úgy éli a tavasz örömeit,
s csak őgyeleg benne a régi pásztor,
mint életében már talán ezerszer,
s vajjon ezentúl is ki tudja hányszor.
Roma, 1940

(g.c.)