Nella zona di Boccea, fu ritrovata, alla fine del Settecento, una statuetta in pietra verde: un cinocefalo ovvero un babbuino sacro, simbolo evidente della religiosità egizia

Per raccontare tale storia ci affidiamo al canovaccio della studiosa Giuseppina Capriotti Vittozzi che ne parla nel suo Il cinocefalo verde e il dio Ptah a Boccea (“Bullettino della Commissione Archeologica del Comune di Roma”, 2006).
La statuina del cinocefalo venne acquistata nel 1779 dal Museo Gregoriano Egizio (sezione dei Musei Vaticani), quindi restaurata (nel 1781) e finalmente esposta nel 1783.
Statuina in pietra verde brillante, il “lapis batrachites” di Plinio.
La studiosa poi si interroga: è una scultura egizia o solo egittizzante? In altre parole: è un’opera di fattura egiziana importata a Roma o solo l’imitazione romana di una statuetta egizia? Più probabile, crede la Vittozzi valutando la buona esecuzione dei particolari, che la statuina sia stata scolpita sì da un artista egizio, ma residente a Roma.
E prosegue, soffermandosi sull’animale raffigurato:
“La scultura di cinocefalo verde … è … icona di una complessa stratificazione di significati simbolici e religiosi … nell’accuratezza della realizzazione le sue forme sono quelle del papio anubis”.
E cos’è il papio anubis?
Nient’altro che una rappresentazione della divinità, connessa a Thot, dio della Luna e della Sapienza, nonché ai riti della fertilità e della rigenerazione (simboleggiati potentemente dal colore verde):
“Il babbuino [papio anubis, quindi] che saluta il sorgere del sole del quale è in adorazione, le terre esotiche e quelle infuocate del sud [dell’Egitto] dalle quali torna annualmente la piena [del Nilo che fertilizzava il suolo per l’agricoltura] e dunque la vita”.
Ma c’è di più.
Prima della guerra vi fu un secondo rinvenimento presso la Boccea, sempre d’una statuina di ascendenza egizia. Dovrebbe provenire, vista la data, dai lavori di sterro eseguiti dal conte Piero Fogaccia per la realizzazione della villa omonima:
“Si tratta di un frammento di statuetta del dio Ptah, di pregevole lavorazione” la cui iscrizione geroglifica suona pressappoco ‘Dire le parole da parte di Ptah che è a sud del suo muro, Signore di Ankhtauy (Menfi), il padre [degli dei]’”.

La studiosa prosegue: “Sembra probabile che la statuetta sia stata portata a Roma proprio da Menfi, forse come ricordo di una visita nel prestigioso e antichissimo tempio di Ptah”.
Non dobbiamo stupirci troppo visto che l’area in cui sorge l’ex dimora dei Fogaccia (ora proprietà della principessa Ginevra Giovannelli Fogaccia) era attraversata dal tracciato dell’antica via Cornelia e che proprio qui sono presenti i resti di una villa romana.
“Massimo Pallottino [colui che ne scrisse per primo nel 1936 in “Notizie degli scavi di Antichità”] si è soffermato sulla particolarità dell’abito, che doveva caratterizzarsi per una reticella sovrapposta alla guaina vera e propria che avvolge il dio mummiforme … questa rete trova un confronto in quelle impreziosite da perline che venivano applicate anche sulle mummie”.
Conclude la Vittozzi:
“… si può sottolineare la provenienza dalla zona di Boccea di due reperti egizi che potrebbero fare riferimento a un ambiente di culto, probabilmente privato … [e] infine sottolineare che tale coincidenza di dati sembra alludere all’ambito mitologico e teologico dell’area di Menfi …”; Menfi ove sorgeva, in epoca tarda (tolemaica), il grande tempio dedicato a Ptah, deità che “ebbe un ruolo anche in ambito magico, come si vede pure nei testi di epoca romana, a esempio quello iscritto su una laminetta ritrovata nell’Urbe”.
L’antica Cornelia-Boccea si conferma, quindi, popolata da comunità nordafricane e mediorientali.
Un’ultima notazione.
La prima statuina (il cinocefalo verde), recuperata e restaurata dal Gregoriano, a distanza di 240 anni è ancora ammirata da tutti nella sezione egizia dei Musei Vaticani.
La seconda (il dio Ptah), donata dal conte Fogaccia allo Stato Italiano nel 1936, risulta irreperibile.
Cosa le sarà accaduto?
Dispersa negli scantinati ministeriali o in bella mostra nel salotto di qualche abile ricettatore amante dell’esotico?
(g.c.)