Il Tevere a Valle Aurelia. Cesare urbanista

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Il caso volle che C. Capitone portasse il discorso sui progettati ampliamenti della città: disse che il Tevere, dopo il ponte Milvio, sarà deviato lungo i colli Vaticani (‘secundum montes Vaticanos’), il Campo Marzio sarà tutto coperto di costruzioni e il Campo Vaticano (‘campum Vaticanum’) diventerà un nuovo campo Marzio“.
Così Marco Tullio Cicerone nell’epistola ad Attico (Ep. XIII, 33).
Cicerone allude alla legge De urbe augenda (Sull’espansione della città) proposta da Giulio Cesare nel 45 a.C.
Cesare ambiva allo spostamento del corso del Tevere verso ovest [cioè verso Monte Mario, Primavalle e la Pineta Sacchetti] sino ai piedi della catena collinare dei cosiddetti “Montes Vaticani” in modo da ampliare lo spazio del Campo Marzio (la parte di Roma compresa fra Muro Torto e Tevere – est-ovest – e fra piazza del Popolo e via Frattina – nord-sud).
Il nuovo territorio così guadagnato è chiamato da Cicerone “Campus Vaticanus” in un perfetto parallelo linguistico e urbanistico con “Campus Martius”.
Nella figura sottostante è segnato in verde il Campus Vaticanus, in blu il Tevere col nuovo corso e in rosso quelle zone che, ai tempi di Cesare erano occupati dalle alture, ma, in seguito alla continua erosione dovuta all’estrazione dell’argilla per le fornaci, si sono trasformate nella valletta dell’Inferno o Aurelia. Vale il caso di ricordare che fabbriche di mattoni e fornaci alla valle dell’Inferno già esistevano più di 2000 anni fa; ne fa fede un verso del poeta Giovenale: “Et Vaticano fragiles de monte patellas” (Sat. VI, 343), cioè i fragili piattini del monte Vaticano, con evidente allusione all’argilla estratta dal nostro monte per cuocerli.

Il progetto di Cesare fallì a causa del suo assassinio. Se fosse andato in porto, quel lembo di Roma, divenuto sponda sinistra del fiume, sarebbe stato ricoperto di nuove costruzioni: probabilmente, a causa della fitta edificazione, non sarebbe sorta nemmeno la basilica costantiniana di San Pietro.
Il passo di Cicerone è stato usato da Costantino Maes per dimostrare che con “montes Vaticani” egli si riferisse a Monte Mario. Non è così. Il generico “montes” parla solo della catena di alture che da Ponte Milvio continuano sino al Gianicolo. Non è un caso che il poeta Orazio con “collis Vaticanus” pensi al Gianicolo e il citato Giovenale all’argilla dell’altura che da Valle Aurelia risale verso la Pineta Sacchetti e il quartiere Primavalle.

(g.c.)

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