Annarella Bracci/1

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L’omicidio della dodicenne Anna Maria Bracci (15 dicembre 1937 – 18 febbraio 1950), detta Annarella, fu uno degli episodi più significativi del primo dopoguerra italiano. Si può affermare, con buona sicurezza, che tale delitto, ancor oggi senza colpevoli, rivelò l’Italia a sé stessa. Uomini fatti e cose dapprima occultati dal perbenismo e dalla ragion di stato emersero in piena luce; così come le fratture ideologiche e politiche, mai così evidenti nella loro ferocia.
Di questo, però, parleremo nei prossimi post, quando approfondiremo i vari aspetti della vicenda.
Adesso accontentiamoci di presentare l’episodio nei suoi tratti essenziali.
Annarella abita al lotto 25, scala L, in Via Lorenzo Litta. La sera del 18 febbraio, verso le 19.30, la mamma, Marta Fiocchi, manda Annarella a comperare del carbone e a cercare un po’ di pasta e olio presso la famiglia Bernardini. In casa tira una brutta aria: il papà, Riziero, vive fuori, separato dalla moglie; il fratello, Mariano, ha recentemente subito un’amputazione della gamba a causa di un tumore. I fratelli più piccoli hanno poco da mangiare: sulla tavola c’è solo un po’ di verdura bollita.
Annarella, a malavoglia, esce.
È un sabato sera e si è in tempi di Carnevale; una doppia festa, in un certo senso: l’una pagana, il Carnevale appunto, e l’altra religiosa: il 1950, infatti, è un Anno Santo, che il Pontefice Pio XII celebra nella sua pienezza.
Annarella raggiunge casa Bernardini. Ha con sé una sporta e una piccola bottiglia per l’olio. La signora Miriam non c’è; non ci sono nemmeno pasta e olio: Annarella si accontenta di un po’ di strutto.

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L’ultima foto conosciuta di Annarella Bracci. Tratta da Un fiore fra la nebbia. Anna Maria Bracci sulle orme di S. Maria Goretti, 1950

Prima di passare alla bottega del carbonaio (presso l’attuale via Niccolò Albergati) s’incammina per Largo Federico Borromeo: qui vi sono negozi, la panetteria, il capolinea dell’autobus. Un luogo affollato di gente, quasi festoso quel sabato sera, e caldo di incontri e luci: uno degli ultimi punti vivi della borgata prima della campagna che s’apriva proprio da Via Litta sino alla ferrovia Roma-Viterbo (dove una volta erano i casali e le fabbriche della Tenuta Primavalle). A Largo Borromeo Anna trova un’amichetta; parlottano tra loro un poco; e poi vede Lionello Egidi, un vecchio conoscente della famiglia Bracci, che proprio allora scendeva dal 237: Anna, che ha fame, lo implora di comprargli un po’ di castagne dal caldarrostaro lì presente. Lionello gli presta dieci lire: le serviranno per dieci castagne.
Sono le 20.30 circa. Da questo momento, d’apparente normalità, di Annarella si perdono le tracce.
Verrà ritrovata due settimane dopo, morta, in fondo a un pozzo.
L’allarme per la scomparsa fu dato dalla madre. Le forze dell’ordine si mossero lentamente: a quel tempo una scappatina del genere non allarmava nessuno. Forse la ragazzina era andata a servizio da qualcuno, oppure s’era rifugiata presso un’amica; oppure c’erano motivi più squallidi dietro: in ogni caso non c’era da fare troppo rumore; la polizia se la sarebbe presa comoda. E così fu.

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Foto tratte dal numero speciale de “L’Europeo” sui delitti celebri, 2001

E, però, lentamente, la storia cominciò a ingrossare. I giornali presero a dare le prime notizie, un po’ confuse, fra il 23 e il 24 febbraio. Nella borgata si rincorrevano voci su un “mostro”. Voci incontrollabili. Pressata dal popolino la polizia effettuò ricerche più stringenti che, man mano, assunsero l’aspetto di veri e propri rastrellamenti.
Le indagini si concentrarono sulla madre e sulla cerchia familiare, quindi, con più forza, su Lionello Egidi, soprannominato, da allora, “il biondino di Primavalle”.
“Il biondino” venne fermato e trattenuto in Questura il 24 febbraio.
Nella notte fra il 3 e il 4 marzo fu ritrovato il corpo senza vita di Annarella Bracci, sul fondo di un pozzo di irrigazione in località La Nebbia (tra via della Pineta Sacchetti e via Torrevecchia; il punto preciso ov’era il pozzo è fra il distributore di Via Cogoleto – che allora si chiamava via La Nebbia – e via Bardineto).
L’autopsia sui poveri resti della bambina accertò che Annarella fu colpita con forza al capo e poi, forse creduta morta, gettata agonizzante nel pozzo dove trovò la morte per annegamento.
L’emozione per il ritrovamento di Annarella percorse la città.
Lo sdegno, la pietà e l’ira si confusero inestricabili. Quella reazione fu un evento memorabile di cui, oggi, è difficile rendersi conto.
Al funerale, a spese del Comune di Roma, vista l’estrema indigenza della famiglia, la bara fu portata in carrozza, trainata da una quadriga di cavalli bianchi; a seguire le massime autorità cittadine e delle forze dell’ordine; la partecipazione popolare, secondo testimonianze concordi dei giornali, fu enorme: centomila, forse duecentomila persone. Le borgate si strinsero attorno alla piccola vittima: c’era, come detto, pietà, e ira. La pietà che ci assale istintiva quando vediamo usare violenza contro un inerme, o contro un innocente quale può essere un bambino. Questo accade perché sentiamo questo atto come un tradimento. Dante lo chiamerebbe: tradimento contro chi si fida. E infatti il Poeta spedisce questi “sozzi” individui, metà uomini giusti e metà serpenti, nei ghiacci del nono cerchio.
E ira. L’ira di chi si sente un individuo d’infima classe, senza diritti; spregiato e abbandonato dalle istituzioni proprio perché povero, e relegato in una bolgia in la miseria, l’ingiustizia e la violenza si attizzano vicendevolmente.

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I funerali di Annarella. Disegno di Walter Molino per il retrocopertina de “La Domenica del Corriere”, 19 marzo 1950

La sera del 10 marzo Lionello Egidi confessò il delitto.
Il caso sembrava chiuso.
Qualche giorno dopo, tuttavia, “il biondino” ritrattò la confessione che, a suo dire, gli era stata estorta a suon di “crocche”.
La ritrattazione segna l’inizia di una vicenda giudiziaria ambigua e fallimentare. Egidi fu prosciolto in primo grado, nel 1952; condannato, quindi, a 26 anni in Appello; definitivamente prosciolto da una sentenza della Cassazione nel 1955, cinque anni dopo, quando della vicenda si era persa la memoria; e della giustizia per Annarella non si parlava quasi più.
Egidi avrebbe in seguito intrapreso una personale via crucis di denunce e tribunali (che riguardavano altri fatti di cronaca, seppur simili). Anche di questo parleremo in seguito.
La madre di Annarella si trasferì fuori Roma. Il fratello Mariano, risentito, cupo e reticente, si spense presto, entro il 1950. Anche la sua è una storia tragica.
Annarella fu sepolta al Verano, presso la cappella gentilizia di Raniero Marsili, che le offrì generosamente ospitalità donandole, da morta, quella pace che non ebbe in vita.
Solo una piccola targa esterna ci ricorda chi era quella bambina.

Bibliografia su Anna Bracci (per il download dei testi)

(g.c.)

 

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